Necessità della sofferenza
Quando noi recitiamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», questo vuol dire: «Padre, dacci il pane dell’anima, che è la sofferenza». La sofferenza è il nutrimento dell’anima come il frumento è il nutrimento del corpo. Se ci nutriamo, è per vivere, e la vita dell’anima è la comunione con Nostro Signore. Come comunicare con Lui? Donando per i nostri fratelli una parte della nostra felicità, come il Cristo ha dato la sua vita per farci partecipare alla vita eterna, fino a che il più piccolo tra noi sia giunto nel regno dei Cieli, in cui la sofferenza viene tramutata in divina allegrezza. Degli interessi materiali non si deve tener conto nel Pater, poiché Dio provvede a tutti i nostri bisogni materiali. L’uccellino che non recita il Pater, non riceve forse la vita? (7.1.1903).
Il Cielo ci accorda il pane dell’anima, anche se noi non lo chiediamo.
Vi sono diversi modi di soffrire. Certe persone soffrono in espiazione per se stesse, altre per la loro famiglia, altre come missione per i loro fratelli (31.7.1893).
Ognuno ha proprio la quantità di sofferenza che può sopportare. Quando sopravviene una sofferenza, è il segno che il Cielo non ci dimentica. Ma, quando si soffre troppo, è un dovere cercare di alleviare le proprie pene, per vivere il più a lungo possibile, per soffrire il più a lungo possibile (5.11.1889).
Quando il male arriva al suo parossismo la sofferenza non esiste più. Gli inquisitori non lo sapevano.
Noi siamo sul sentiero della sofferenza.
Dobbiamo soffrire fisicamente e moralmente non è forse scritto: «Beato colui che piange, perché sarà consolato?».
Beati quelli che piangono, ma non ci piace piangere.
«Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna». Nessuno può andare in Cielo senza subire le sofferenze del Cristo e amare il prossimo come se stesso.
Non si progredisce che con la sofferenza, e non con la riflessione e il ragionamento.
Se si volesse costruire un tempio in un campo, bisognerebbe rivoltarne la terra, e se il campo potesse parlarci, direbbe: «Mi fai male, lavorandomi!».
Dio ci ha affidato il bene e il male; sta a noi far trionfare il bene. Quanto alla malattia e alle tribolazioni, esse sono assolutamente necessarie alla materia. Non vi è che questo che faccia progredire (2.1.1905).
Non bisogna forse passare attraverso tutte le sofferenze per comprendere quelle dei nostri fratelli e compatirle? (10. 4.1895).
Cosa importa a noi della sofferenza? Mentre noi soffriamo, altri non soffrono. In tal modo noi avanziamo e coloro per i quali soffriamo avanzano anch’essi. Vi sono come sapete diversi esseri in noi. Appena uno di questi esseri se ne va, l’armonia è spezzata e la sofferenza arriva. Per compensare quell’essere assente, dovrebbero mandarci un custode, e la calma verrebbe. Ma allora non vi sarebbe sofferenza e non si avanzerebbe (maggio 1895).
Se sapessimo perché soffriamo, se conoscessimo il fine delle nostre sofferenze, cosa ci attende come ricompensa per tutti i nostri sforzi, saremmo talmente felici che non sentiremmo più le nostre pene, non vi sarebbe più sofferenza (21.11. 1894).
Il corpo deve essere bruciato fibra per fibra, purificato dal fuoco, perché l’anima possa condurre con sé le anime di quelle fibre e formare così un tutto. È per questo che il Cristo, il cui corpo intero era risorto alla Luce, poteva formarsi un corpo nell’istante in cui lo voleva: Egli non ha lasciato nella tomba altro che il nutrimento che aveva preso alla terra.
Ciò che può condurci alla perfezione è il fuoco. Nessuno quaggiù è perfetto. Non vi è che il fuoco che possa purificarci (21.1.1895).
C’è una cosa che posso affermare, ed è che da quando vi sono degli uomini non vi è una sola persona che, dall’altra parte, non sia stata soddisfatta all’idea delle sofferenze che aveva dovuto sopportare.
Le persone che avranno molto sofferto, quando andranno dall’altra parte potranno subito consolare e, già da questa parte, una persona che ha molto sofferto con rassegnazione può comandare al male e, avvicinandosi a un malato, dire: «Ordino al male di allontanarsi», ed esso si allontanerà (7.1.1894).
Per arrivare a comandare agli animali, alle piante e alla materia, non vi è che una strada ed è la sofferenza; ma per arrivare là, la strada è lunga e la sofferenza da sopportare immensa.
Le prove
Le sofferenze fisiche fanno avanzare l’anima e capire quelle degli altri. Per fare un buon soldato, bisogna andare sulla linea del fuoco, per capire il male del vostro fratello bisognerebbe che lo sentiste anche voi. Non siamo forse condannati ai lavori forzati a vita? E quante sofferenze occorre sopportare per purificare l’anima e il corpo, perché anche il corpo ha bisogno di purificarsi (26.12.1893).
Dio ha creato il vento per fustigare l’albero che è sulla montagna, e più l’albero è forte, più verrà scosso.
Il vento può sradicare delle piccole piante e non abbattere una quercia ma, se diventa più forte, rovescerà anche la quercia. Avviene lo stesso di noi.
Se non vi fossero dolori nel mondo, quanto sembrerebbe corta la vita, e quanto ci sembrerebbe lunga!
La materia si rivolta contro il dolore, ma lo spirito ne chiede sempre di più.
Le prove che subiamo ribellandoci non sono contate.
Arricchitevi con quanto i vostri fratelli rifiutano, vale a dire con le avversità, con la miseria, le prove (21.1.1901).
Nessuno entra nel Cielo, se non conosce la miseria da cima a fondo. Se non beve e mangia il sangue e il corpo di Gesù, cioè se non segue il cammino della sofferenza e del dolore (3.2.1896).
Se volete venire con me, bisogna passare per strade difficili, su ponti dove vi sono tavole marce, e non avrete il diritto di rifiutare, nemmeno il diritto di dire di quella tavola: «È marcia», perché dovete contare su Dio, che vi dice di passare, e se avete fiducia, passerete. Non dovete dire di quella tavola che è marcia, perché insultereste la sua antichità e voi, o siete già dovuti passare di là, o ci passerete.
Bisogna chiedere delle prove, se non se ne hanno, perché più tardi esse verranno più forti; quando ci saremo abituati alle piccole ne avremo di un po’ più grandi e le sopporteremo con un po’ più di coraggio. Nessuno entrerà nel Cielo se non conosce tutto, se col tempo non ha imparato tutto e a proprie spese (5.11.1889). |