Non si deve aver paura della morte, ma neppure si deve desiderare la morte. Chi non avesse paura della morte, saprebbe tutto ciò che deve capitargli durante la giornata di domani (29.1.1902).
Conviene restare in questa esistenza il più a lungo possibile. Un minuto è prezioso. Ciò che viene soppresso si dovrà rifare (1899).
Bisogna fare degli forzi da questa parte per comportarsi bene, poiché lavoriamo per dopo la morte. Più un essere avrà fatto degli sforzi in questo mondo, più sarà cosciente di là.
Non bisogna desiderare la morte. Si deve vivere per i propri parenti, i propri amici, i propri simili (11.2.1902).
Si ha paura della morte perché vi sono delle cellule di noi stessi che tengono alle cose che ci circondano, e questo provoca una lacerazione (22.9.1904).
La morte per noi non è che una trasformazione, ecco perché non dobbiamo temerla (4.2.1895).
Dio non disfa l’opera delle Sue mani. Colui che sa nel profondo del cuore e non superficialmente che tutto è opera di Dio, non teme una distruzione totale: egli sa che la morte non può nulla su di lui.
Non si soffre al momento della morte. Ciò che fa soffrire è la paura che abbiamo di essa. E perché questa paura? La morte non esiste, ed è una mancanza di fiducia verso Dio l’aver paura di essa. Spesso quelli che hanno l’aria di soffrire, i cui organi si contraggono, non sentono assolutamente niente e cantano mentre voi credete che soffrano. Essi non sanno né dove vanno, né dove sono, né da dove vengono. Allo stesso modo, noi non sappiamo né da dove veniamo, né dove siamo, né dove andiamo.
Coloro che non credono all’esistenza dell’anima, ma conservano in se stessi la propria convinzione, saranno dei ritardatari, ma in tenebre meno spesse di coloro che dicono a tutti: «Non c’è anima, nulla resta né del nostro corpo né di noi, con la morte tutto è finito». Allo stesso modo come una persona alla quale abbiano amputato un braccio o una gamba sente sempre il suo membro come se esistesse, così alcune persone non si credono morte e sentono i propri corpi. Quelle che, davanti a tutti, hanno gridato che tutto era finito e che non restava più niente di noi dopo la morte, cercano le loro membra e non possono trovarle (27.6.1893).
Alla morte vediamo passare davanti a noi tutte le nostre azioni, e dimenticando i nostri cari e i nostri sentimenti abituali non pensiamo ad altro che a chiedere perdono a Dio.
La morte non esiste che in apparenza; il nostro corpo non muore, vi è una metamorfosi. L’anima si separa dal corpo, rompe i legami che la trattengono e diventa libera, vale a dire che per noi essa è libera, ma ritorna in una famiglia che già conosciamo e dalla quale ci siamo assentati, per venire qui su questa Terra. E questa famiglia è contenta di rivederci, poiché ritrova uno dei suoi figli che credeva perduto.
Quando moriamo, non vi sono fenomeni intermedi tra la nostra dipartita e il nostro arrivo altrove. Ci troviamo presso i nostri amici spirituali immediatamente.
L’anima può, alla morte, innalzarsi e allontanarsi dal corpo, ma resta ciò che chiamiamo la vita del corpo, che accompagna il corpo fino a quando lo ritroviamo, perché, io ve lo attesto, il nostro corpo è per l’eternità, e noi risusciteremo (10.9.1901).
È scritto: vi sono di quelli che non morranno prima di aver visto il regno di Dio ritornare con potenza. Con potenza, sì, ma non con clamore. Bisogna sapere a chi ciò è stato detto. È stato detto a degli esseri distaccati, degli esseri che, non avendo legami con la Terra, dovevano passare dall’altra parte senza accorgersi che stavano lasciando questa (27.1.1897).
«Ma questa parte e l’altra, non sono sempre la stessa parte?»
Sì, ma con dei veli che le separano.
L’uomo non ha il diritto di far bruciare il proprio corpo alla sua morte. Bisogna rendere alla terra ciò che la terra ci ha prestato: spetta ad essa di trasformare il cadavere come crede. Due metri di terra bastano per purificare le emanazioni del cadavere. Se si brucia per disgrazia, è un’altra cosa. La Terra presterà dei corpi a coloro che ne hanno bisogno, ma quelli che si saranno fatti bruciare aspetteranno a lungo prima di ritornare.
Un chicco di grano ritorna immediatamente, mentre un chicco bruciato non potrà ritornare che al termine di un tempo immenso (ottobre 1904).
Pace sui morti
Non vivete con i morti, non parlate sempre dei morti, perché sono degli assenti che non possono difendersi (8.12.1902).
Non ricordate mai ciò che un morto ha potuto dire o fare di male, lo torturereste mettendo in luce ciò che è stato messo nelle tenebre. Ecco perché le scritture ci dicono di lasciare i morti tranquilli (21.1.1895).
Voi lavorate più per il Cielo correggendovi dei vostri difetti, che pregando per i morti (8.12.1902).
I vivi hanno bisogno di più preghiere che i morti (2.4.1903).
Il suicidio
La morte non spezza le catene che stringono le nostre gambe. La morte non libera.
Chi si suicida per mettere fine alle sue sventure sbaglia, perché gli toccherà ritornare a espiare la sua colpa e recuperare il tempo abbreviato. Non bisogna però gettargli la pietra, perché non si sa qual era la sua sofferenza (21.6.1899).
Molti suicidi non sono che il castigo fatale di esseri che hanno commesso un assassinio e ai quali è dato di pagare così il loro debito.
Se si spinge qualcuno al suicidio procurandogli delle sofferenze, si passerà per la stessa pena (12.2.1901). |