Durante più di quarant’anni consacrati alla consolazione della sofferenza umana, il Maestro ha operato innumerevoli guarigioni. Molte testimonianze sono giunte alla mia conoscenza, ma cosa rappresentano rispetto a quelle che sono cadute nell’oblio! 14 marzo 1869. Guarigione di una sordità di vecchia data. M.me Pli. B., 9 Rue des Quatre-Chapeaux, Lione. Ho assistito alla riunione, al 35 di Rue Tête-d’Or, in cui il professor Brouardel, della Facoltà di Medicina di Parigi, è venuto a rendersi conto di ciò che faceva M. Philippe. C’era nella sala una malata ansimante, che camminava a fatica, fortemente gonfia al ventre e alle gambe, che attirò l’attenzione del professore. M. Philippe pregò quest’ultimo d’esaminare la povera donna in una stanza attigua alla sala delle riunioni, in presenza di qualche allievo, fra cui io stesso, designato da lui. Alla fine della riunione ci raggiunse. «Ebbene! ‑ disse al professore ‑ che pensate di questa donna?». Questi spiegò che la persona soffriva d’idropisia generalizzata e che non aveva probabilmente che pochi giorni da vivere. Quando la donna tornò nella sala, sostenuta dagli allievi, avanzava con la più estrema difficoltà; la sua respirazione, corta ed oppressa, faceva male a sentirsi. «Cammina!» le disse M. Philippe. «Ma non posso!». «Cammina più svelta!». Ed ecco che, dopo un istante, il suo passo esitante si fece più agevole ed ella esclamò con gioia: «Ed ora, danzerò!» trattenendosi i vestiti divenuti d’improvviso troppo ampi. Il gonfiore del ventre era sparito, come anche quello delle gambe, e la gioia di vivere era tornata nel suo corpo che la Facoltà aveva condannato un istante prima. E non c’era sul pavimento alcuna traccia d’acqua. Il professore Brouardel avanzò verso M. Philippe e gli intesi dire: «M’inchino, ma la scienza non può comprendere ciò che s’è appena verificato». Poi, salutando M. Philippe e i testimoni, se ne andò. Un giorno, un giovane che vedevo regolarmente da qualche mese alla riunione, mi avvicinò nel cortile e mi domandò: «Potreste dirmi perché M. Philippe non mi guarisce, mentre da tre mesi che vengo qui vedo tutti i giorni accanto a me delle persone che vengono guarite?». «Che avete come malattia?» gli domandai. «Ho ricevuto un calcio di cavallo alla base del petto, ne ho sofferto terribilmente. Nessuno dei quattro o cinque medici che ho consultato ha potuto curarmi. La prima volta che sono venuto qui ho provato un tale sollievo che ho potuto camminare e lavorare, ma ancora oggi non sono guarito». «Che avete fatto per ricevere un calcio di cavallo?». «Mi piaceva molto molestare quegli animali, li punzecchiavo per farli scalciare». «Ammettendo che voi sarete guarito, continuereste a divertirvi così?». «No, non potrei più, non mi divertirebbe affatto e mi farebbe pena veder soffrire un cavallo». Gli dissi allora: «Più tardi, quando vedrete M. Philippe, ripetetegli ciò che mi avete detto». Alla riunione lo vidi alzarsi all’avvicinarsi del Maestro, ma prima che potesse pronunciare una parola M. Philippe gli disse: «Sei guarito». Una donna veniva da molto tempo alla riunione per suo marito, ma non otteneva la sua guarigione. All’uscita da una riunione lo dissi a M. Philippe, mentre lo accompagnavo alla stazione di Saint-Paul, e lui mi rispose: «È perché, durante la sua vita, non ha mai fatto nulla per il suo prossimo». «Il curato d’Ars – ci disse un giorno M. Philippe – era un pastore inviato per proteggere le pecore. Un giorno andò da lui una madre col suo bambino, colpito da lungo tempo da paralisi doppia infantile. Non camminava che con le stampelle. Il curato d’Ars l’esaminò e disse: “Da parte nostra, non possiamo far altro che impedire al male di aumentare, ma fra qualche tempo incontrerete un giovane che lo guarirà”. La donna andò via e, più tardi, a Lione, venne per caso a trovarmi. Il bambino era seduto su una sedia. Vidi che era guarito. Dissi allora alla donna di salire con suo figlio a Fourvière e di appendere le stampelle come ex-voto, e poiché la donna mi rispose che non poteva, dissi al bambino di alzarsi e di camminare, ed egli lo fece subito». Il bey (governatore) di Tunisi soffriva molto di una terribile malattia. Vedendo che i medici italiani che lo curavano non gli procuravano alcun sollievo, egli disse loro: «Non vi sarebbe possibile alleviare le mie sofferenze intollerabili?». Uno di essi dichiarò che non conosceva che uno dei loro colleghi che poteva curarlo, e precisò che si chiamava Philippe e abitava a Lione. Il bey diede subito ordine che gli venisse inviato un telegramma. Quando lo ricevette, il Maestro si fece rilasciare un passaporto dalla Prefettura, il 7 gennaio 1881, e partì per Tunisi. Al suo arrivo fu immediatamente ricevuto dal bey che gli chiese di fargli sapere l’esatta verità sul suo male. M. Philippe gli dichiarò che a partire da quel momento avrebbe cessato di soffrire, ma che non avrebbe potuto vivere che diciotto mesi. Il bey, sorpreso e felice di essere subitamente liberato dalle sue grandi sofferenze, domandò al Maestro cosa desiderasse. Il Maestro gli rispose che non chiedeva nulla. Il bey ordinò allora che il nome di M. Philippe fosse iscritto negli annali e che a datare da quel giorno quattro ufficiali del suo palazzo fossero tenuti ad accompagnarlo nei suoi Stati, in tutti i luoghi ove gli piacesse andare, e ciò ogni volta che in avvenire ne manifestasse il desiderio. Il Maestro fu inoltre decorato dell’Ordine del Nicham Iftikar il 24 febbraio dello stesso anno con il grado di Ufficiale. Diciotto mesi più tardi il bey rendeva l’ultimo respiro. A diverse riprese, M. Philippe si è lasciato condannare per esercizio illegale della medicina. Il Maestro, trovandosi all’ufficio telegrafico, vide allo sportello una povera donna che voleva inviare un telegramma di risposta a quello ricevuto che le annunciava che suo figlio, dato a balia, stava malissimo. Non avendo abbastanza soldi, ella fu obbligata ad andarsene, dicendo che sarebbe tornata. Il Maestro venne ad informarmi di quella triste situazione e, mettendomi venticinque franchi in mano, mi disse: «Andate a portare questo danaro a quella povera donna e ditele che suo figlio non è più malato, che al suo arrivo dalla balia lo troverà in buona salute. Non dimenticate di aggiungere che, se ha bisogno di qualcosa, venga a chiedermelo». Il Maestro mi indicò un lavatoio dove quella donna lavorava. Arrivato sul posto, chiesi al proprietario di chiamare la donna che stava tornando dal telegrafo. Quando fu in mia presenza le dissi: «Tenete, questo ve lo manda M. Philippe. Mi ha pregato di prevenirvi che vostro figlio non è più malato: arrivando dalla balia lo troverete in buona salute. Se avete bisogno di qualcosa, venite da M. Philippe, a Rue Tête-d’Or 35, ed egli vi darà ciò vi sarà necessario». La povera donna, che non conosceva M. Philippe, fu molto sorpresa. Immaginate la sua gioia. Felice, mi pregò di ringraziarlo, in attesa di potere, al suo ritorno, ringraziarlo di persona (Laurent). Un uomo di trentacinque anni aveva ricevuto un calcio di cavallo alla spalla sinistra che gli aveva fratturato la clavicola. Era stato operato e gli erano stati tolti dei frammenti d’osso. Da un anno aveva il braccio rigido. Il Maestro gli disse che si sarebbe potuto fare qualcosa per lui e aggiunse: «Vi ricordate di quel malato che venne alla riunione con un dito tranciato che si era messo in tasca?». Molte persone presenti risposero affermativamente. «Vi ricordate che tornò in seguito col suo dito intero e guarito? Ebbene, sarà lo stesso per quest’uomo, le ossa della sua spalla ricresceranno ed egli potrà servirsi del suo braccio». Qualche istante dopo M. Philippe domandò al malato: «Senti qualche miglioramento al tuo braccio?». «Sì». «Ne sei ben sicuro?». Quello rispose ancora affermativamente. In effetti, noi tutti potevamo vedere quell’uomo muovere il braccio e la mano (23.1.1903). Una ragazza che soffriva di carie ossea alla gamba ha potuto tenersi in piedi e poi camminare davanti ad un’assemblea composta di circa ottanta persone (3.3.1895). Una donna anziana e malata non riusciva a guarire. M. Philippe le chiese: «Non hai nulla sulla coscienza?». «No». «Non hai mai commesso ciò che si chiama. un furto?». « Molto tempo fa, ho preso un vestito in un negozio e, poiché costava venti franchi, non potrei mai pagarlo, anche se volessi farlo. Non ho messo insieme che sei franchi». «Bene. Dammi quei sei franchi vi metterò il resto, e che il Cielo cancelli ciò che tu hai fatto». La guarigione fu istantanea. Un uomo lanciava dei petardi al n. 35. M. Philippe disse alle signore che avevano paura: «Lasciate fare, non vi inquietate». L’ultimo petardo ferì alla mano l’uomo in questione. Nulla poteva guarire quella ferita, l’uomo soffriva terribilmente. Venne a chiedere perdono e ottenne la guarigione. Una donna si presentò con un braccio paralizzato da sette mesi. Il Maestro le ordinò di massaggiarsi con l’altra mano. Al termine di una serie di tentativi, alzò il suo dito all’altezza dell’occhio (25.11.1896). M. Philippe girava in vettura con un amico nei dintorni de L’Arbresle. Scorse un paralitico seduto sul bordo della strada. Si fermò e gli disse: «Portami quella pietra». L’uomo esitò, poi si alzò e gli portò il sasso. «Era venuto da me, qualche tempo fa – mi disse un giorno M. Philippe – un malato al quale avevo detto: “Voi guarirete, ma ad una condizione, che abbandoniate la causa che avete in corso e che restituiate alle persone ciò che compete loro”. L’uomo mi disse: “Oh, è molto facile, ve lo prometto”. “Fate bene attenzione, gli dissi, all’impegno che prenderete, è come se lo prendeste davanti a Dio, perché io prometto a Lui in vostro nome”. L’uomo è stato guarito. Qualche mese dopo sua moglie venne a cercarmi: suo marito era molto malato. Gli domandai se aveva mantenuto la sua promessa. “No – mi disse lei – da qualche tempo ha ripreso le azioni legali”. “Allora non posso fare nulla per lui”. In effetti, rientrando, trovò suo marito morto». Ad una riunione la signora J. era seduta a fianco di un uomo paralizzato al braccio destro. M. Philippe passò e domandò a quell’uomo cosa aveva. «Non posso servirmi del mio braccio» rispose l’uomo. M. Philippe continuò il suo giro, poi tornò al centro della sala. Lì passeggiò in lungo e in largo dicendo: «Vi sono delle persone che vengono qui a chiedere di essere guarite, ma non si ricordano proprio nulla, quelle persone?». Sempre passeggiando, tornò verso il malato e gli domandò: «Allora, hai realmente bisogno che il tuo braccio sia guarito?». «Oh, sì signore, mi dà molto fastidio non posso lavorare». «Eppure, l’hai ben agitato in altri tempi. Non ti ricordi forse d’aver fatto questo gesto?» (e M. Philippe alzò il braccio). L’uomo divenne pallido e, in capo a qualche istante, senza attendere la fine della riunione, se ne andò. Sei mesi dopo, M. Philippe raccontò, lanciando uno sguardo alla signora J., che un giorno ad una seduta era venuto un uomo che era stato paralizzato al braccio perché aveva ucciso suo fratello. Quell’uomo chiedeva ugualmente la sua guarigione. «Ma – disse M.me J. – il Cielo l’ha guarito?». «Sì – rispose M. Philippe – gli ha accordato la guarigione». Una madre venne tutta in lacrime a chiedere la salute di suo figlio. M. Philippe rifiutò di guarirlo. Allora quella donna pianse e si trascinò ai suoi piedi. A una riunione, nel novembre 1903, ho visto una giovane contadina con un tumore nero della grandezza di una noce sul mento. Soffriva da molti mesi di violenti mal di testa. Aveva dormito per qualche tempo sulla paglia in una casa in riparazione, molto umida, senza finestre. I medici non potevano fare nulla. C’era una carie della mascella e temevano che il tumore, eliminato dal viso, si trasportasse allo stomaco. Ho rivisto la ragazza due giorni più tardi, il tumore era diminuito e impallidito al termine di qualche giorno era quasi scomparso, e così anche i mal di testa. Un droghiere, installato in un quartiere popoloso e che vendeva a credito, venne a trovare M. Philippe, che egli già conosceva, e gli disse che suo figlio, per il quale invece egli aveva chiesto, malato di difterite, era appena morto. La signora Boudarel, la signorina Félicie, così come la madre di Fier, erano presenti. |